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Presentazione di Paolo Bà
Omero, Socrate, Abramo, Gesù, Francesco, la poesia
attraverso i secoli dalla antica Grecia ai Padri del
deserto, dalla Genesi ai poeti dell’Europa medioevale e
moderna, costituiscono il filo conduttore dell’impresa
titanica di ricercare la pietà. Un primo gruppo corposissimo
di pagine comprende una lettura accurata dell’Antico
Testamento con un Prologo e Eden, addio!,
seguono un Interludio, Ecce Agnus Dei e Laudato
sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature. Chiudono
l’opera l’ Appendix franciscana coi pochi scritti di
Francesco e gli Indici orientativi, cioè dei quadri
sinottici dal 4000 a. C. ai tempi di Francesco. Si può dire
che il tutto sia un excursus della cultura medio orientale
antica e della letteratura occidentale europea che vanno a
sintetizzarsi nella voce, nei comportamenti di Francesco
d’Assisi. «Ma è pur sempre da lì, dalle colline di quell’Ellade
immortale, che è necessario riprendere da capo la nostra
infinita peregrinazione », dice Monìris, il misterioso
personaggio, il Giobbe nostro contemporaneo, che apre e
chiude il grandioso viaggio culturale dove si incontrano
profeti e poeti che hanno il dono della parola, verso la
quale si indirizza l’avventura di ricerca che
fu, all’inizio, soltanto alimentata da
desiderio di raggiungere un luogo dove sostare, con
animo ormai rassegnato, dinnanzi alla memoria di dolori
che -come avvenne per Giobbe – ci apparvero allora
originati da una severità del tutto incomprensibile: lì
giunti, avremmo voluto veramente scoprire – ruotante
come l’astro celeste – la dimora di una pietà, ferma e
consolatrice.
Alberti li chiama “appunti” i risultati delle ricerche
sulle pagine dell’Antico e Nuovo Testamento, e
commenti e riflessioni sono i pensieri comparati a fatti e
avvenimenti sia letterari che artistici di varie epoche,
anche moderne: dotti e splendidi incisi. Delle associazioni
mentali, fulminee, per es., accostano Eva a Pandora, la
Eva di Masaccio a L’urlo di Munch: il volto di
Eva esprime il grido per un Eden sbarrato alle spalle. La
fine dello “scambievole e costante rapporto fra uomo e
natura” che era pertinente alla religiosità ellenica, la
perdita della giustizia originale che era propria
dell’armonia tra la prima coppia e tutta la creazione
decaduta, incombono su tutto il creato d’allora in poi come
catastrofe. Né Noè riguadagna il paradiso perduto dopo la
coabitazione pacifica di persone e animali nell’Arca. Né i
profeti, grandi o minori, con la loro poesia che ha una
durezza ferrigna a petto della chiarezza dell’Ellade, sanno
ristabilire per lo meno una rete di parole che sappiano dare
le “estreme consolazioni”. I Salmi, semmai, si avvicinano
alla poesia greca e alla laude di Francesco, che è spesso
presente, anzi centrale nella ricerca perché lui sì, come
Cristo, ha stabilito un’intesa fra persone e animali, fra
persone e paesaggio in una corrispondenza piena di armonia
con un moto circolare coinvolgente, nel dipanarsi del tempo,
le “fragili vicende quotidiane” che “compongono le storie
faticose degli uomini”.
Tuttavia l’armonica circolarità spirituale fra tutte le
cose, fra tutte le creature è, per il pellegrino che
attraversa i secoli, destinata a restare “un sogno vagante
e, per lo più, sconosciuto, o almeno subito obliato”; si
possono individuare, sì, dei “rari segni” in cui è possibile
“cogliere il tentativo di armonizzare la salvezza
dell’universo con quella di ogni creatura”.
“Ogni creatura”, dal più piccolo animale ai grandi cetacei,
ogni creatura, nel senso francescano, ha il diritto di vita,
di rispetto e di comprensione. Di tale compassione va alla
ricerca il pellegrino; ma questa pietà, con una lettura
sincronica, non è da trovare nell’Antico Testamento,
dove tortore e tori, passeri e capri erano offerti come
sacrifici cruenti. I profeti tuonavano che il Signore voleva
il sacrificio del cuore, ma non furono ascoltati; essi
certamente ebbero accenti toccanti, di Isaia si dice:
Le pagine del suo severo mondo vengono
illuminate continuamente da inesauribili invenzioni
poetiche: è così che i cupi richiami del moralismo
israelitico si dissolvono d’improvviso in un folgorante
battito d’ali o nella voce di una limpida polla d’acqua.
La ricerca è meticolosa. Con la sua quest Giorgio
ripercorre tutta la Bibbia: Genesi, Giudici, Levitico,
Numeri, Deuteronomio e, su tutti i libri, con immersioni
nella storia, fin nei particolari di famiglie e di antenati,
intessendo così dei racconti commentati criticamente,
ponendo in luce la fragile consistenza delle persone e delle
vicende umane anche nei grandi eroi epici come David e
Salomone. Ri-narra le storie di Tobia, di Ester e degli
altri personaggi con l’intento di rilevare gli aspetti
ingenui, toccanti, spesso drammatici; si sofferma sugli atti
di commiserazione e li rapporta alla poesia di Virgilio,
Ovidio, Dante, Tasso, Hölderlin, Manzoni, Pascoli… e
soprattutto a Francesco. La figura dell’umbro rimane il
faro; con lui in mente Alberti parla diffuso, in maniera
pacata, ora insistente, riflettendo sui dolori quotidiani e
sugli sporadici interventi angelici, sempre meravigliosi;
discorre degli errabondi percorsi secolari fra le sabbie del
deserto, luogo deputato per la macerazione e la
contemplazione, plaga adatta per l’impoverimento terreno
onde acquistare la luce folgorante o per ascoltare il lieve
vento della voce divina.
Arrivati al Nuovo Testamento il raffronto col
poverello di Assisi si fa più intenso, Francesco porta a
compimento la pietas di Gesù e di quella intravista
nei patriarchi: d’altronde ai tempi del Salvatore ancora si
sacrificavano tortorelle e colombi, al tempo dell’assisiate
il sacrificio doveva già essere personale e interiore e non
simbolico, gli affetti dovevano essere rivolti a tutte le
creature, anche a quelle feroci, fossero esse banditi o
lupi:
Se gli uccelli possono evocare
immagini di voli angelici, ossia quell’aspirazione a
risalire verso le invisibili sedi celesti, e l’agnello
può ricordare la sublime vicenda del sacrificio
cristiano; e i caproni la bruta insensibilità dei
Farisei e di tutti i peccatori – queste immagini
suscitano in Francesco sentimenti subito legàti alle
fatiche di una inevitabile realtà quotidiana, agli
episodi che costituiscono la storia infinita del dolore.
Le trame dolorose della storia di Israele sono dunque
ripercorse in Eden, addio! con intima partecipazione
alle vicende di quel popolo, in tutto quell’andare Francesco
è rimasto il faro fisso per la ricerca sulla pietas. Ora, in
Ecce Agnus Dei e in Laudato sie, mi’ Signore, cum
tucte le tue creature il ruolo di Francesco si chiarisce
ancor meglio come il tramite che unisce il mondo antico con
quello attuale, perché la sua visione religiosa
dell’universo non appare “più soltanto orientale ed
ebraica”, “certamente cristiana, ma di un cristianesimo
greco, latino, barbarico, italico”.
Che Francesco sia latore di una concezione sconosciuta
dell’universo viene ripetuto più volte, e più volte Alberti
si accora nel vedere frainteso in semplice bontà, idillio,
gentilezza ciò che era, e deve essere, sacrificio, virilità;
soprattutto tiene a illustrare come il poverello consideri
(e qui il suo grande insegnamento) la totalità e il singolo
atomo del creato con entusiasmo e pietas.
La pietas di Francesco, unita alla caritas
divenne, dice Alberti, furore costante d’amore tale da far
uscire l’uomo dal gretto individualismo per farlo spaziare
con animo deciso in quell’armonica intesa che corre fra
persone, animali, paesaggio: la circolarità spirituale di
Francesco; questi la realizzò appieno assieme ai confratelli
compiendo gesta epiche e umili (termini che formano di certo
un ossimoro, figura spesso presente nelle agiografie di eroi
cristiani) che dettano al nostro autore pagine fra le più
belle della storia letteraria odierna. E grazie a Francesco,
perché questi
ha le qualità dei nostri poeti più
grandi: l’Infinito di Leopardi è costruito con la
stessa geometrica impostazione della laude
francescana: entrambi riescono ad essere teoremi
della coscienza e della fantasia.
La laude Il cantico delle creature di
Francesco è dunque sezionata nella sua “geometrica
impostazione” e chiosata in maniera semplice, nella umiltà
in cui si conviene che venga studiata, poi (anzi, spesso)
brani di Tommaso da Celano sono commentati; in essi il
ricercatore della pietas rileva come il mondo animale con
agnelli, allodole, fagiani… sia coinvolto nell’amore di
Francesco per tutte le creature le quali percepiscono
l’afflato soprannaturale da lui proveniente, e se ne
accorgono, ne danno segni: con lui vivono il mondo
incontaminato che fu dell’Eden e quello redento nel futuro
che sarà. Questi comportamenti animali e umani impersonano
il modo di concepire e di vivere la religione e l’approccio
sociale di Francesco: cioè si delinea una nuova antropologia
che sintetizza gli atteggiamenti cultuali accadici,
ellenici, asiatici in genere, con i culti delle catacombe e
poi su su attraverso Bisanzio e il Medioevo fino a Francesco
e, per i pochi che hanno compreso e praticano la disciplina
francescana, fino ad oggi.
Il mondo animale, si diceva. Sembra che esso abbia meglio
inteso lo spirito francescano: l’agnello di Jacopa Settesoli,
il lupo, il fagiano e le allodole. Le allodole, addirittura,
alla morte del loro padre e fratello spirituale trillarono
di tristezza e di gaudio, di tristezza per la imminente sua
dipartita, di gaudio per la nuova nascita che stava per
avere in Paradiso. Allora “un lacrimevole giubilo e un
pianto di letizia giungevano come un suono perpetuo” dice
Tommaso da Celano. Parole su cui Giorgio indugia con
rapimento.
La Peregrinatio animae ad quaerendam pietatem è un
libro da leggere con calma, è da assaporare in ogni sua
parte, un poco per giorno: i brani riportati dall’ Antico
e Nuovo Testamento invogliano a riaprire la Bibbia; le
pagine tratte da Tommaso da Celano, da san Bonaventura da
Bagnoregio, dai Fioretti inducono a rivedere la
storia di san Francesco; le poesie di autori europei
stimolano a dare uno sguardo alla storia letteraria non solo
a quella italiana ma a quella di altre nazioni. Tutto
sommato si tratterebbe, con una lettura così fatta, di un
doveroso vaglio della nostra civilizzazione, non solo, si
tratterebbe anche di un esame della nostra coscienza
individuale oltre che collettiva, quindi stileremmo un
bilancio della nostra cultura.
Prima ancora che la voce di Giovanni Paolo II e la voce di
Benedetto XVI arrivassero a scuotere le coscienze
sonnacchiose dei cristiani, Giorgio Alberti, il ricercatore
della pietas, era arrivato alla seguente convinzione:
Senza Francesco il cristianesimo offre
costante testimonianza di un messaggio non interamente
appagante: la sua presenza è necessaria come quella del
Battista che annunzia il futuro pellegrinaggio divino:
anche se poi la circolare immagine del mondo francescano
– non considerato o dimenticato – sembra assumere la
stessa consistenza di cui si compongono i sogni: se essi
si dissolveranno, cammineremo tutti come ciechi
smarriti.
Cinquecento cinquanta e più pagine non possono essere
illustrate appieno da queste poche righe di presentazione,
ma si spera di aver fornito un’idea del complesso mondo
esplorato da Giorgio alla ricerca della pietas.
Paolo Bà |
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