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Prefazione
Nelle pagine che hanno per titolo: Francesco, Giotto,
Dante e le origini del genio italico, abbiamo tentato di
presentare l'immagine dell'Italia quale ci è apparsa nel
tempo primo della sua formazione: ci è sembrato di scorgere,
in quella stagione, le solide radici della pianta che si
sarebbe poi via via arricchita di fronde rigogliose così da
poter offrire ad altri sclerotici arbusti - cresciuti
talvolta lì presso, ma anche molto più in là - la
possibilità di prolifici e vigorosi innesti.
Ogni momento è, nella storia di un uomo o in quella di un
popolo, l'anello - ora più opaco e squallido, ora più
vistoso e splendente - di un'unica, intatta catena: ogni
vicenda è stata preparazione o rinnovamento, risultato
luminoso o fiacco mutamento di un ininterrotto percorso.
Così, dunque; come sappiamo che dallo scontro di culture
diverse - evolute o barbariche, raffinate o elementari,
vitali o languenti - nascerà domani, con il puntuale
concorso del tempo, un periodo di rinvigorito spirito
creativo che sfocerà alfine nel corso di una nuova civiltà.
Ma gli incontri, che lasciarono nell'animo di un uomo - o in
quello di una gente - i segni primi della puerizia e
dell'adolescenza, s'imposero poi per sempre - e magari
inconsciamente - nell'attuazione di ogni avvenimento futuro
o nelle manifestazioni di qualche sconvolgente o, talora,
inspiegabile giudizio.
E' certo che la sorte volle che nascita e crescita, e quindi
la maturazione dei nostri sentimenti, avvenissero negli
stessi luoghi dove un giorno era sorta quella piccola e
vigorosa Italia che trasse, dal mondo antico, la sua linfa
vitale: e questa attraversò poi, in un periglioso percorso,
i territori della distruzione e della barbarie, si disperse
in paludi e acquitrini, quindi riprese faticosamente a
scorrere tra forre e dirupi, e fu di nuovo piccolo ruscello,
segnato da brevi sponde, ma dove si raccolse acqua sempre
più limpida e ispiratrice.
Molti vennero qui, presso queste sponde, per dissetarsi, e
vivere; altri per riposare, meditando e sognando; altri per
specchiarsi soltanto nel riflesso delle acque.
Da molti segnali, noi oggi riteniamo veramente che questo
nostro percorso privato sia pressoché concluso: una folla di
figure si affaccia ogni giorno più numerosa nelle ansiose
peregrinazioni della memoria. Ma poi, a sera, è soltanto nel
ricordo di qualche volto che sembra raccogliersi e
riassumersi tutta la nostra vicenda terrena.
E quando dalla visione dei volti ritrovati e dal racconto
degli episodi vissuti o rimeditati, la fantasia si libra
come il cerilo di Alcmane, alto, sul fiore dell'onda - ansia
febbrile diviene il desiderio di vedere ancora la vita -,
allora ritornano gli echi di quelle voci ascoltate nel tempo
primo, e chiari si rifanno dinanzi agli occhi quelli che
erano da molte stagioni soltanto barlumi quasi dimenticati
di lontanissime luci.
Ci ritroviamo ancor oggi nei luoghi dove cominciammo a
scoprire i primi appartati e umbratili sentieri del mondo:
lo spirito creatore si rinnovava - come per ogni altro uomo
- anche in noi, ridestando nel nostro animo lo struggente
desiderio dell'Eden perduto.
Fu così che ci incamminammo fra gli scogli de La Verna, nei
boschi degli eremi di Montecasale e di Cerbaiolo, nei
piazzali del castello di Montauto, sul crinale dei monti
della Casella da dove Francesco benedisse per l'ultima volta
il sasso alvernino: il piccolo frate era già stigmatizzato,
e s'incamminava ormai verso l'ultima vicenda del suo Golgota:
la sua benedizione era rivolta al monte che non avrebbe mai
più riveduto.
Per noi, è passeggiata quotidiana giungere fino al
lazzeretto presso cui Francesco si ridestò dall'estasi della
preghiera, e chiese al compagno quanto tempo ancora mancasse
prima di giungere ad un borgo a lui ben noto, ma sperduto in
un vasto deserto: il borgo sperduto era stato in realtà già
raggiunto e superato durante l'estasi.
Attraverso l'immagine di questi volti e la storia di queste
vicende, noi abbiamo cominciato a udire più distintamente i
richiami molteplici della vita. Ci giunsero dunque così, per
vie inusitate, le prime nozioni che ci parlavano di alcune
cose del mondo le quali, poi, ci apparvero ricche di un
fascino lì per lì inspiegabile, ma che già allora sentimmo
di non poter mai più dimenticare.
Le letture vennero molto più tardi, e certamente procurarono
nuove ansie ai nostri sentimenti: ma non turbarono, anzi
resero più evidenti i segni lasciati dalle prime conquiste:
imparammo subito, e non a memoria ( una infelice espressione
della nostra lingua), ma veramente par coeur, il Cantico
delle creature: fu la nostra preghiera della sera e quella
del risveglio.
Prima di addormentarci, ci leggevano spesso, nella grande
cucina del vecchio palazzo, alcune pagine della silloge dei
Fioretti: tutto giungeva come naturale commento a quei molti
frammenti di storie che già conoscevamo da anni.
La pagina scritta ci ripeteva, in un ritmato e gradevole
fraseggio, il dispiegarsi di quelle vicende che avevamo
conquistato, da molto tempo ormai, nella nostra realtà
quotidiana.
Furono - queste - le favole della nostra prima età.
Venne poi il giorno - attesissimo - in cui compimmo il
nostro viaggio più lungo e impegnativo: ci condussero, per
la prima volta, nella non lontana Assisi.
E lì noi tornammo ogni anno, all'inizio di ogni primavera e
al ritorno di ogni autunno: avemmo veramente una fortuna
sconfinata: fu infatti così che i primi incontri, e le
successive letture, trovarono indimenticabile illustrazione
nei racconti giotteschi. Furono i suoi colori ad animare le
immagini delle nostre favole, a racchiudere in splendidi
pannelli i poemi che narravano ormai le storie della nostra
mitologia.
Più tardi, giunse Dante: egli completò la storia di questo
percorso dando al ritmo lirico dei racconti i fermi colori
della visione epica: non tentammo nemmeno per un attimo di
imitare, anche debolmente, la vibrazione o l'eco di una
parola dantesca: essa costituì sempre una stella
irraggiungibile e solitaria, mentre, al contrario, proprio
la sua luce si diffuse in ogni manifestazione della nostra
esistenza sia individuale sia anche in quella di tutta una
gente.
E fu proprio il suo messaggio che ci rese consapevoli, e
soprattutto felici, della nostra italianità.
Oggi, molte di quelle risonanze sembrano smarrirsi in spazi
indefinibili e senza nome, urtano rumorosamente contro
l'aggressività di una rientrante barbarie.
E pare essere iniziata - da molto tempo ormai - la dura
storia del disamore: ed è soprattutto con questo pensiero
che abbiamo ora tentato di interpretare certe voci che
ostinatamente ci ripropongono le immagini di una vicenda -
grandiosa e secolare - che è di un popolo; insieme con
quella - fragile e ormai declinante - che è di un uomo. |
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